Sibilla
Sibilla. Un nome come un soffio accogliente che evoca una leggenda.
Appena lo sento pronunciare ricordo come tutto è iniziato.
Era l’anno duemilacinque e mi trovavo a casa di mia sorella Sara, in Abruzzo. Ero scesa da Bologna per trascorrere alcuni giorni con lei e suo marito e, una sera, si erano uniti a noi altri due ragazzi di Comunanza, in provincia di Ascoli Piceno. Eravamo raccolti a chiacchierare, con un bicchiere di buon vino in mano, quando storie misteriose di luoghi a loro cari presero vita nella stanza.
«Si narra che la Sibilla fosse una sacerdotessa capace di predire il futuro, una Fata buona, alcuni dicono, una veggente dal linguaggio forbito. Apparteneva a un mondo sotterraneo al quale si accedeva tramite una grotta posta sulla vetta dei Monti Sibillini. Qualcuno sostiene che fosse sempre circondata da numerose ancelle…»
Mentre mi lasciavo rapire da quelle parole, notai subito una luce particolare brillare negli occhi dei due giovani, che trasmettevano tutto l’amore che nutrivano per quelle terre. Anche mia sorella era ammaliata dal racconto ed, essendo in attesa di una bambina, da lì a pochi giorni decise di chiamarla proprio Sibilla. Lo sentiva un nome adatto, di certo inusuale, un po’ fatato, che avrebbe definito il carattere di sua figlia e che emanava insieme storia, mistero e fascino.
La notizia subito mi emozionò. Anche se non ne ero consapevole, si stava già creando un legame tra me e i Monti Sibillini. Quando tornai a casa, però, un po’ della magia si disperse nella frenesia del lavoro e delle incombenze di tutti i giorni. La percepii di nuovo, stavolta non solo con la mente, un anno più tardi, in occasione del primo compleanno della mia nipotina.
Mia sorella volle esplorare da vicino la grotta che aveva ispirato il nome di sua figlia e coinvolse anche me in quel viaggio all’avventura.
L’esperienza fu intensa ed emozionante. La vista che mi riempì lo sguardo una volta arrivate in cima alla vetta mi lasciò senza parole per lo stupore.
Il silenzio della montagna era sacro e sembrava chiedere di essere accolto con rispetto. Ascoltato in profondità.
Così feci: chiusi gli occhi e lasciai che la natura mi parlasse con il suo linguaggio misterioso. Fu un’esperienza straordinaria che mi lasciò addosso la voglia di ritornare.
Ogni scorcio visto divenne una cartolina virtuale che conservai con me, una volta rincasata nell’agio di Bologna. Mi piaceva la mia città, del resto abitavo in campagna, in una zona abbastanza tranquilla e avevo il mio spazio, il mio orto cui dedicarmi con passione, ma un suono si era acceso in me e mi richiamava in quell’altrove. Lasciai comunque che la quotidianità mi distraesse di nuovo fino a quando, qualche anno dopo, incontrai il mio attuale compagno Federico e scoprimmo insieme di nutrire la stessa passione e al contempo il medesimo Mal di Sibillini. Lui, in realtà, era solito andare da quelle parti per rigenerarsi e, anno dopo anno, aveva stretto un legame profondo con quei luoghi, esplorato vari percorsi e anche deciso di creare un sito web dedicato, per farli conoscere a tante altre persone. Lo rattristava l’idea che tanto potenziale restasse inespresso ed era sgomento che non ci fosse materiale divulgativo in rete.
Quando ci vedevamo, l’argomento principe delle nostre conversazioni erano i Sibillini e più la nostra relazione si consolidava, più il richiamo verso le sue terre si faceva forte. Così iniziammo a viaggiare insieme, a esplorare nuovi angoli di quel paradiso, fantasticando ogni volta e godendo a pieno di ogni dettaglio che ci circondava. Erano vacanze stupende che ci davano modo di conoscerci nella nostra autenticità, connessi con i ritmi lenti della natura.
Poi un giorno Federico mi chiese di accompagnarlo e affiancarlo in un nuovo progetto e accolsi con entusiasmo la sua proposta.
L’intento era di restare soltanto due settimane, il tempo di girare dei video promozionali dedicati ai vari comuni, e poi ripartire verso Bologna ma in quei giorni accadde qualcosa di davvero magico. Entrambi ci sentimmo a casa, lì, insieme. Più di tutte le altre volte.
Eravamo intenti ad ammirare gli scatti che la natura ci offriva generosa, in ogni istante: il sole che baciava le montagne, l’erba dipinta di varie sfumature e il tappeto vivido dei fiori selvatici.
«Chi ce lo fa fare di tornare in città? Perché non proviamo a restare e creare qualcosa in questo paradiso?» mi chiese Federico poco prima di rimetterci in viaggio verso casa.
«Potremmo realizzare una guida turistica per far conoscere i vari sentieri, per esempio» aggiunse subito dopo.
Avevo da poco perso il posto nell’azienda in cui lavoravo, a Federico andava ormai stretta la sua occupazione ed entrambi eravamo d’accordo che Bologna era vivibile e a noi cara, ma la sua serenità non era affatto equiparabile alla pace che ci donavano i Monti Sibillini.
Ci abbracciammo complici e suggellammo così la nostra decisione.
A seguire comunicammo le nostre intenzioni alle rispettive famiglie, ci organizzammo e, senza sapere come sarebbe stata la nostra nuova vita, dopo pochi mesi ci trasferimmo definitivamente.
Avevamo già valutato una casa adatta a noi a Montegallo e ripartimmo da lì.
Fu una scelta consapevole che prevedeva delle rinunce, come per esempio le comodità di un’abitazione confortevole ubicata a pochi passi dai negozi e dal supermercato ma non ci importava.
La montagna ci ripagava con doni differenti: non potevamo riscaldarci premendo un bottone ma il fuoco del camino era vivo e ci donava un calore differente che sapeva di noi, di presenza e di valori antichi ritrovati.
Amavamo tutto questo e lo amiamo ancora oggi.
Non che sia stato tutto semplice, abbiamo anche affrontato varie sfide, difficoltà importanti: una grande nevicata prima e a seguire un forte sisma con epicentro proprio vicino alla nostra casa e ai nostri punti di riferimento ma non ci siamo mai arresi, non abbiamo mai pensato di retrocedere né di tornare a Bologna.
Ogni sfida ci ha insegnato qualcosa e ci ha fatto scoprire la forza di noi stessi, come singoli individui e anche come coppia.
Ci siamo sempre sostenuti, incoraggiati e reinventati, dopo ogni difficoltà.
Uno dei mantra che Federico ripete spesso è: «In città c’è tutto, sui Monti Sibillini non c’è nulla per cui puoi fare tutto e c’è bisogno di tutto».
Questo ci motiva a trovare sempre nuove idee, a creare.
Dopo il terremoto, abbiamo abbandonato la zona solo per qualche tempo, poi siamo subito ripartiti con la voglia di far rifiorire e colorare il territorio.
Ci siamo dedicati alla piantagione di un enorme campo di lavanda e proprio dalle crepe abbiamo rigenerato la terra a pennellate di viola. È nato così il progetto Un Fiore per Montegallo e a seguire il nostro punto vendita Lavanda dei Sibillini.
Molte persone ci vedono come spaesati, isolati dal mondo, sconnessi… ma non ci sentiamo affatto così. Quando necessario utilizziamo la tecnologia, inoltre coltiviamo rapporti sani, autentici e ci aiutiamo gli uni con gli altri.
Qui tutto è condensato e si ha bisogno davvero di poco per sentirsi appagati, sereni, vivi. A Bologna, invece, molte delle relazioni erano fredde, sterili e non ci sentivamo del tutto a casa.
Sui Sibillini abbiamo trovato il nostro posto nel mondo e anche se sia io sia Federico ci siamo innamorati prima dei monti che di noi due, sono stati anche loro a mantenerci uniti. Forse anche grazie alla magia della Regina Sibilla che protegge il suo territorio e tutti coloro che se ne prendono cura.
@Nadia Nunzi
Storia vera di Nicoletta e Federico raccolta per la rivista Confidenze n°8 febbraio 2022
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