L'alta sensibilità è il mio dono
Mi son sempre sentita diversa, sin da bambina.
Più sensibile, emotiva e insicura rispetto alle altre.
Piangevo facilmente e mi bastava un rimprovero per essere ferita nel profondo.
Ricordo un giorno in cui mia madre mi riprese per aver sbuffato davanti a dei parenti, infastidita da quello che per me era un eccessivo brusio, e ci rimasi così male che mi andai a nascondere dietro un mobile, piangendo per ore.
«Dai esci da lì» mi diceva mio zio per calmarmi
«Non è successo niente, perché fai così?».
Provavo così tanta vergogna per essere stata maleducata che per me era un dramma e continuavo a rimuginarci su.
A scuola le cose non andavano meglio, venivo derisa per l’aspetto fisico e anziché difendermi, ogni volta, mi ritrovavo in lacrime. Mi sentivo inadeguata e non riuscivo a instaurare nessuna amicizia. Così mi rinchiudevo nel mio mondo, con la compagnia esclusiva dei miei adorati cani, nel silenzio dei luoghi campestri intorno a casa.
Nessuno sembrava comprendermi, tantomeno i miei genitori che sminuivano le mie reazioni emotive con dei superficiali «Che sarà mai? Sei sempre esagerata» per poi lasciarmi di nuovo sola con me stessa.
Mi sentivo estranea ai loro occhi, spesso non abbastanza importante e non presa in considerazione tanto quanto mio fratello, soprattutto quando lasciarono a lui la gestione dell’azienda agricola di famiglia che era uno dei miei sogni.
Fu l’ennesima delusione per me e la conferma di valere poco. E con quel malessere interiore e vuoto affettivo mi muovevo nel mondo senza vedere la luce in nessun angolo, fino all’incontro con M.
Avevo appena ventuno anni ed essere inaspettatamente corteggiata con parole d’amore e rose rosse mi catapultò in una realtà nuova, dove c’era posto anche per me, dove non solo ero visibile ma anche interessante per qualcuno.
M. mi desiderava e già al secondo appuntamento si avvicinò per baciarmi.
È un po’ presto, pensai. Ma in fondo che importava. Non mi sarei di certo fatta scappare una persona interessata a me, dopo anni di invisibilità!
Iniziai a cercarlo spesso e a passare sempre più tempo insieme a lui. Era un rifugio perfetto che mi permetteva di scappare da quella casa dove non mi sentivo accolta né riconosciuta per proiettarmi verso un nuovo futuro, dove avrei costruito la mia famiglia.
Questo pensavo, ma subito dopo le prime frequentazioni M. iniziò ad avere reazioni sempre più scontrose. Si litigava per un nonnulla ed ero sempre io a starci male.
Lui spesso dopo una discussione si voltava semplicemente dall’altra parte lasciandomi crogiolare nei sensi di colpa, a interrogarmi sul mio modo di essere.
«Ne combino sempre una» mi dicevo.
«Devo cambiare atteggiamento».
Mi ripetevo di essere sbagliata, di non poter avere di meglio e sopportavo tutto, umiliazioni e silenzi punitivi che duravano intere giornate.
«Poi gli passa. Cambierà…» aggiungevo, seppur sofferente davanti a tanta freddezza.
E nella speranza di quel cambiamento che mai arrivava, in un altalenarsi continuo di emozioni contrastanti, tirai avanti per ben cinque anni. Poi il mio fisico iniziò a manifestare segnali di insofferenza attraverso attacchi di panico ed ebbi la forza di lasciarlo.
In quel momento mi ritrovai di nuovo smarrita, nella vecchia dimensione dove la mia famiglia mi andava stretta e iniziai a frequentare un altro ragazzo. Anche M. iniziò a frequentare un’altra ma mi inviava comunque dei messaggi chiedendomi di rivederci e alla fine cedetti. Passammo la notte insieme e fu bello, magari poteva ancora funzionare.
Poco tempo dopo scoprii di essere incinta. Andai da lui a comunicargli la notizia e la risposta che ricevetti mi agghiacciò.
Anche l’altra ragazza che, a quanto pare stava ancora frequentando, era in dolce attesa e lui non era intenzionato a stare con me ma era invece interessato a costruire una famiglia con lei.
Mi crollò il mondo addosso.
Come era possibile che mi ritrovassi in una tale situazione?
Il mio sogno di famiglia cadde in mille pezzi. Costruirla con lui non era possibile e poi era davvero con lui che volevo mantenere un legame dopo tutto quello che era successo?
Iniziai a torturarmi con infinite domande temendo le conseguenze dell’eventuale scelta di portare avanti la gravidanza. Che futuro avrei avuto? E mio figlio? E poi che avrebbero pensato i miei genitori? Di certo non sarei stata capita e mi avrebbero giudicata una pessima figlia.
Ero davvero combattuta e di nuovo sola con me stessa.
Alla fine, tra dubbi e lacrime, presi la decisione che mi sembrò l’unica fattibile in quel momento e mi recai in ospedale.
Seduta tremante in sala d’attesa ricordo che nessun medico mi chiese del mio stato d’animo, se fossi sicura o meno della mia scelta. Non mi sentii confortata né accolta.
Venne attuata la procedura con visite ed esami come di prassi e nel giro di poche ore mi ritrovai di nuovo nella mia camera da letto, svuotata e sola.
Fu in quel momento che presi coscienza di ciò che era successo e venni travolta dai sensi di colpa più atroci e dagli attacchi di panico.
Cosa avevo fatto?
Che c’entrava quella creatura con l’indifferenza del mio ex?
Mille domande tornarono a vorticarmi nella mente.
Avevo commesso un errore imperdonabile e per questo sarei finita all’inferno.
Questo mi ripetevo. Mi sembrava di sentire addirittura nella mente una voce che mi ripeteva «Sei una pessima persona. Sei una peccatrice».
Ero certa che la punizione sarebbe ben presto arrivata e iniziai a pregare, giorno e notte, chiedendo perdono.
Non riuscivo a calmare la mente in nessun modo e a un certo punto il sovraccarico di stress fu tale da portarmi quasi a svenire e tornai in ospedale.
Mi accompagnò mia madre stavolta, cercando di capire che cosa stesse succedendo ma non le rivelai la verità. Fui ricoverata con una diagnosi di psicosi e trattata con psicofarmaci. Furono i giorni più dolorosi della mia vita e mi sembrò che nessuno mi ascoltasse né comprendesse la mia condizione.
Una volta fuori dall’ospedale, preda di un forte senso di ingiustizia per non esser stata capita né supportata, iniziai a fare ricerche, leggere libri e a confrontarmi in gruppi di donne che avevano vissuto la mia stessa esperienza e scoprii di essere altamente sensibile. A seguito dell’evento traumatico è probabile che abbia vissuto una sorta di dissociazione per non sentire il forte dolore che provavo.
Dopo quello spiacevole episodio in clinica ho iniziato un percorso terapeutico affiancata da una professionista esperta di alta sensibilità e ho ritrovato il mio equilibrio.
Sono finalmente riuscita a perdonarmi per quella scelta, ad avere uno sguardo più profondo verso la vita e più amorevole verso me stessa.
Ho iniziato a riconoscere il mio valore, ho imparato a proteggermi da chi vuole abusare del mio altruismo e a scegliere meglio le persone con cui stare.
Ora ritengo la mia grande sensibilità, non più una condanna, ma un dono che mi rende più umana, intuitiva e vera e ho smesso di scappare.
Questo mi ha permesso di conoscere Alberto, un ragazzo ipersensibile come me, e a instaurare un rapporto unico, profondo e autentico anche grazie a questo tratto che ci unisce. Oggi lavoriamo insieme in una fattoria che si occupa di agricoltura rigenerativa e unisce l’amore per la natura all’interesse per la crescita personale.
In questo spazio dove le nostre passioni si fondono posso finalmente realizzare i sogni ambiziosi del passato, diffondere la mia esperienza e portare alla luce un tema ancora così poco conosciuto e frainteso come l’alta sensibilità e aiutare altre persone a non sentirsi più sbagliate, ma uniche.
Storia vera di Valentina D'Angelo uscita in edicola per la rivista Confidenze N*40 Autrice Nadia Nunzi
Commentaires