IL CORAGGIO DI TORNARE A VIVERE
Quando si perdono entrambi i genitori a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro, è come sentirsi all’improvviso sradicati dal terreno delle più solide certezze. Si crea un vuoto incolmabile e senti di sprofondarci dentro, soprattutto se tutto questo accade quando hai soli sedici anni, come è stato per me.
Ero nel pieno dell’adolescenza, aperta a infinite possibilità, con uno sfavillante luccichio di vita negli occhi, mentre sognavo un primo amore con cui costruire un legame autentico come quello vissuto dai miei genitori.
Li avevo sempre ammirati per quel loro modo di tenersi uniti e resistere alle sfide insieme, grazie al gioco, alle risate e al non prendersi troppo sul serio. Mai avrei immaginato che la vita un giorno sarebbe arrivata a disincantarci tutti quanti con una malattia spiazzante come la leucemia insieme a un responso medico tanto reale quanto indelicato.
«A sua moglie restano soli quattro di mesi di vita» disse un dottore a mio padre, senza dargli il giusto tempo per elaborare un’informazione densa come quella. Lui non resse la notizia, il pensiero di restare così presto senza la sua amata compagna di vita era troppo da sostenere e a poco più di quarant’anni decise di non proseguire il suo viaggio terreno. Quattro mesi dopo, il responso medico si avverò, con una tempistica più che precisa e mia madre lo seguì.
Mi ritrovai, così, catapultata in una nuova realtà fatta di dolore anziché di sogni, restando in casa con mia nonna paterna e mia sorella.
La mia vita sembrava annullata, spenta, e il senso di sconforto e solitudine si facevano via via sempre più schiaccianti. Ancor più quando le persone della comunità iniziarono a darmi giudizi e consigli non richiesti su come gestire la mia sofferenza.
«Loro non vorrebbero vederti così» era la frase ricorrente, come se io volessi star male, come se qualcun altro potesse davvero arrogarsi il diritto di sapere cosa fosse meglio per me e cosa volessero davvero i miei genitori.
Lo trovavo assurdo e inopportuno. Non mi sentivo compresa, supportata, né dalle persone a me più vicine né da quelle esterne. E sprofondai ancor più nella solitudine fino a raggiungere un profondo stato depressivo.
In quel periodo mi rifugiai nella scrittura, mio porto sicuro sin da bambina, e iniziai a scrivere poesie, o intere pagine di diario, esprimendo la rabbia e il senso di ingiustizia che mi ribollivano dentro. Scrivevo ovunque e a qualsiasi ora. Mi svegliavo persino di notte con un urgente bisogno di dare sfogo a tutte quelle emozioni che emergevano ed erano spesso contrastanti. Ero confusa, volevo riaprirmi alla vita ma al contempo mi sentivo in colpa nell’essere felice, perché i miei genitori di fatto non avrebbero potuto esserlo più. Poi via via la rabbia si è tramutata in forza e mi ha spinta a buttarmi a capofitto nella vita, anche perché non sono fatta per restare a terra a lungo o per piangermi addosso. Ho ricominciato a rimettermi in gioco, a fare esperienze, a volte sfidandomi, e acquisendo sempre più fiducia in me stessa.
Riconnettermi alla passione per la scrittura, e in seguito ad altre come la psicologia, mi ha aiutata a convivere con il dolore, consapevole di meritare anche le cose belle e, un po’ alla volta, mi sono concessa di nuovo il diritto alla felicità.
È stato un cammino, un passo dopo l’altro, fatto di accettazione di ciò che non c’era più e di consapevolezza verso ciò che avrei potuto costruire ancora, rivalutando molte amicizie e con un diverso approccio alla vita.
Vivere un lutto così importante ti porta inevitabilmente a ridimensionare tutto e a dare priorità a ciò che senti davvero dentro, senza rimandare.
A me ha insegnato soprattutto a smettere di dare peso ai giudizi degli altri, a mostrarmi sempre più nella mia autenticità, a lasciar andare le amicizie superficiali e a rinsaldare i legami con quelle a me più affini, come con una mia amica dell’asilo, per esempio, con cui ho condiviso proprio di recente un viaggio bellissimo. E a non mettere via i miei sogni e le mie passioni per nessun motivo al mondo, tantomeno per timore di non esserne all’altezza.
Strada facendo, cambiando io, anche le pagine di diario hanno cambiato forma e sono diventate una storia completa, ben definita, che non rappresentava più uno sfogo fine a sé stesso ma un vero viaggio introspettivo di trasformazione. Da lì è emerso il desiderio della condivisone e ho deciso di farla leggere a una mia insegnante che mi ha incoraggiata a espormi, aiutandomi a ottenere la pubblicazione grazie a un ente disposto a finanziare il progetto. È nata così l’autobiografia dal titolo «Il coraggio di tornare a vivere» i cui ricavati sono stati devoluti in parte all’associazione AIL contro le leucemie.
Il messaggio principale che ho voluto lasciare con questo progetto è che si può davvero rifiorire dopo un’esperienza traumatica ma è necessario anche darsi il diritto di stare nella propria sofferenza qualunque essa sia, perché ogni dolore, anche il più piccolo, necessita del suo tempo e del suo spazio. E l’essere vulnerabili dimostra la nostra umanità e non è qualcosa da censurare.
L’ho compreso durante il mio periodo buio grazie al confronto con una ragazza che attraversava un vissuto simile. In quello scambio mi sono potuta esprimere liberamente senza dover edulcorare le emozioni né mascherarle per renderle più sopportabili, come in altre occasioni invece mi capitava di fare.
Concedermi di attraversare completamente il dolore in quel modo, liberandomi senza filtri, è stato per me un passaggio fondamentale di ricostruzione e ha rafforzato l’idea che già nutrivo sul potere dello scambio. E i tanti messaggi ricevuti in seguito sono stati per me la conferma di aver preso la decisione più saggia.
«Mentre leggevo il tuo libro sono riuscita finalmente a liberare le lacrime che trattenevo dentro da anni come se fosse una debolezza, o una colpa, lasciarle scorrere» mi ha scritto una donna che aveva perso suo fratello senza concedersi il tempo di elaborare il lutto.
«Ho rivalutato la mia vita dopo aver conosciuto la tua storia» mi ha confidato un’altra ragazza che si stava lasciando trasportare dagli eventi senza apprezzare veramente ciò che aveva intorno.
L’ho trovato bellissimo come l’immenso affetto ricevuto, che ha intensificato il valore del mio progetto e mi ha indicato sempre più la direzione da prendere.
Ispirata e spronata anche dalla forza di Michele, un nuovo amico, conosciuto sul web che - nonostante sia ipovedente ha realizzato il suo sogno di diventare un matematico esperto - ho intrapreso la formazione in Arteterapia che unisce i miei interessi per la scrittura e la psicologia, alla relazione d’aiuto e sono determinata a far sì che diventi il mio lavoro.
Credo davvero nell’importanza della condivisione perché raccontare il proprio vissuto doloroso e soprattutto le risorse interiori che si posseggono per superarlo, può essere di esempio e sostegno per molte altre persone in difficoltà.
Per questo ho scritto un secondo libro dal titolo «Riflessi su specchi d’anima», una raccolta di poesie divise per tematiche: perdita, dolore, gioia e amore come ulteriore inno alla vita, dove oltre al lutto parlo di rinascita volgendo lo sguardo alla bellezza. Perché seppur dietro non ci sia più niente per me, l’essere stata amata resta ed è anche grazie a quell’amore che sono riuscita a scegliere la strada più luminosa.
Me lo ricordano ogni giorno i tulipani di mia madre, i suoi i fiori preferiti, che nonostante non ricevano cure da dodici anni, continuano a essere vivi e colorati nel nostro giardino.
È come se si nutrissero dell’amore eterno di lei e anch’io con loro.
In fondo quando si è stati molto amati, quell’amore non può che continuare a scorrere dentro di noi come linfa miracolosa, aiutandoci a non mollare e ad andare avanti con fiducia.
Storia vera di Simona Setaro, uscita sul num 22 di Confidenze maggio 2023
autrice Nadia Nunzi
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