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  • Nadia Nunzi

La trappola dell'empatia


La mia storia inizia come penso inizino tante storie d’amore.

Io amavo in maniera autentica pensando che anche lui amasse me allo stesso modo. Purtroppo, però, non era così.

Sono una persona molto empatica e l’empatia è un’arma a doppio taglio: se utilizzata male si viene prosciugati dagli altri senza accorgersene.

Di professione sono fisioterapista, abituata quindi ad aiutare, ascoltare, “aggiustare”.

Lui era un uomo bisognoso di aiuto e la sofferenza del suo passato ha sicuramente “agganciato” la mia natura.

Era succube di un padre padrone, aveva debiti e occhi da cerbiatto desolato. Mi ha confusa. In seguito è uscita fuori la sua natura prepotente, bugiarda e disonesta.

Ha derubato mio padre. L’ho perdonato.

Ho scoperto che mi tradiva. L’ho perdonato.

Poi ho scoperto che derubava anche me e gli ho detto di andarsene.

Perché ho sopportato? I primi anni l’ho fatto per il mio bambino, il nostro bambino, perché aveva molta abilità nel farmi sentire “sbagliata”, “fuori di testa”.

La madre era onnipresente, me lo metteva spesso contro e faceva insinuazioni.

Io che ho sempre ritenuto importante l’erotismo, che ho sempre vissuto la sessualità con giocosità, io che sono molto comunicativa e solare, ero arrivata a vivere il sesso come un obbligo. Bisognava farlo, diceva. Era infantile e monotono e lo assecondavo soltanto per poi togliermelo di torno. A un certo punto, però, non ho più voluto perché mi offendeva, mi maltrattava e vivevo il rapporto più come un abuso che non come un incontro intimo.

Ho iniziato a ingrassare, a non piacermi più e lui a esserne sadicamente soddisfatto.

Se faceva la spesa, se lavava i piatti, o se faceva qualsiasi altra cosa, subito dopo me lo faceva pesare. Sono sempre stata brava a cucinare ma con le sue critiche ho iniziato a credere di essere incapace anche in quello.

Un giorno entrando in garage l’ho colto sul fatto mentre era al telefono con un’altra.

Finalmente avevo qualcosa di tangibile in mano. Potevo cacciarlo per un motivo evidente e non poteva più ubriacarmi di parole e bugie.

Non è stato facilissimo, all’inizio non voleva andarsene e ho cercato di mantenere la calma, soprattutto per il bambino, poi sono diventata aggressiva e gli ho detto che sarei andata dai carabinieri. Dovevo rischiare a costo di essere picchiata.

Non l’ha fatto. La mia determinazione lo ha spaventato e gli ha fatto fare un bel passo indietro.

Se n’è andato.

E io?

Io sono rinata.

È stata una liberazione. Ho riscoperto la gioia della mia libertà, sono dimagrita, sono diventata più bella.

Ho riscoperto il mio corpo, la mia sensualità, la mia dignità.

Vivo con mio figlio e lui può vederlo quando vuole, non gli parlo mai male del padre, pur essendo un padre molto assente.

Ora come ora, a distanza di due anni, vivo le mie storie con leggerezza, non cerco legami seri perché non sento di volerne. Non illudo nessuno e sono chiara fin da subito sul fatto di non voler condividere i miei spazi. Tengo separata la mia vita intima da quella con mio figlio e sto bene.

Lui ha provato a chiedermi perdono e mi ha chiesto di poter tornare insieme ma non ho accettato. Gli ho detto di non amarlo più e di lasciarmi in pace. A quel punto non mi ha più disturbata.

Ho conosciuto uomini gentili, onesti, padri premurosi e credo che non tutti siano pericolosi narcisisti o maltrattanti, ma la cosa più importante è che adesso credo in me stessa, nelle mie potenzialità e, per questo, non sarò mai sola. Ho me.

Un abbraccio grande a tutte. Silvia.

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