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  • Nadia Nunzi

Donna Bambina


Storia vera.

Mi chiamo N, ho ventotto anni e soltanto da uno ho ripreso a vivere, dopo un inferno durato più di un decennio.

Ero una ragazzina quando incontrai lui. Un ragazzo bello, del sud, altrettanto giovane, ma non fu un colpo di fulmine. Iniziammo a uscire insieme e manifestò da subito un forte ATTACCAMENTO nei miei confronti, dicendomi che ero la sua donna ideale.

Un ragazzo inizialmente molto romantico, che avrei potuto definire d'altri tempi per le attenzioni che mi regalava, se non fosse stato per le eccessive scenate di gelosia che da subito non mancò di manifestare. Arrivò a pretendere che non vedessi più i miei amici e cancellò tutti i loro numeri di telefono dal mio cellulare, urlando e mostrando una rabbia folle. Così lo lasciai e lo vidi, per la prima volta, come un’altra persona e non più come il corteggiatore dolce dell’inizio. Ma, essendo molto piccola, non percepii a pieno quei segnali di MANIPOLAZIONE e VIOLENZA, come allarmanti.

Lo lasciai ma, dopo qualche mese di lontananza, impietosita nel vederlo affranto, decisi di tornarci insieme. Purtroppo era solo l’inizio di un incubo. Mi fece pesare la mia decisione (quella di averlo abbandonato) e iniziò ad attuare un vero e proprio ricatto. Iniziò a dettare regole. Mi buttò i vestiti, mi vietò di truccarmi, e potevo uscire solo ed esclusivamente con lui. Mi impose persino di lasciare la scuola. Iniziò a reagire in modo spropositato a ogni cosa. Mi vietava di salire in autobus e non mi fece prendere la patente. Mi isolò con ogni mezzo per tenermi in suo possesso, togliendomi ogni forma d’indipendenza. Poi rimasi incinta. E da lì, iniziò a trascurarmi, ad andare a ballare e a uscire senza di me.

Dopo un anno dalla nascita del nostro primo figlio (avuto quando avevo appena diciassette anni) andammo a vivere insieme.

Sognavo di avere una famiglia con lui, e pensavo che finalmente saremmo stati complici, invece non fu così. Continuò a segregarmi in casa, sempre di più. Litigavamo per qualsiasi cosa. Inoltre lui non lavorava e pretendeva che non lo facessi nemmeno io. Come se non bastasse iniziò a bere di continuo. Se provavo a farlo ragionare, arrivavano le botte. Così la mia paura divenne tangibile e lui l’avvertì e ne prese forza per soggiogarmi ancora di più. Rincarò con le urla, con le offese - vomitandomi addosso le cose più indicibili e schifose - e con gli scatti d’ira. Controllava tutto.

Ero in trappola.

Tutto questo però, era alternato da grandi momenti d'amore e, soprattutto dopo le infuriate, le scuse e le giustificazioni arrivavano puntuali a farmi sperare che cambiasse. Che capisse il male che mi faceva. Io seguivo alla lettera tutte le sue regole, pensando così di poter controllare la violenza ma mi illudevo.

L'unica cosa che non riuscì a fare fu quella di allontanarmi dalla mia famiglia (anche se ci provò in tutti i modi). Voleva portarmi a vivere nella sua terra e diceva che se lo amavo dovevo andare. Che la mia famiglia era lui e che dovevo scegliere. Io sapevo che se fossi andata via sarebbe stata la mia fine e non cedetti. Andammo avanti così, per anni, con gli alti e bassi del suo umore. Poi rimasi incinta della seconda figlia, da me tanto desiderata. Continuavo a illudermi. Immaginavo le sue carezze, la sua presenza, i suoi atti gentili verso di me, invece arrivò a dirmi che l’avevo fregato e che gli facevo schifo.

Rischiai di perdere la bambina, a causa del forte stress che subivo e delle offese. La casa ormai era distrutta tra calci e pugni. Io non reagivo più. Vegetavo. Avevo paura che mi picchiasse, come aveva già fatto in più occasioni, e temevo per la piccola che avevo in grembo. Arrivò a dirmi che mi avrebbe distrutta e che mi avrebbe fatta abortire a forza di calci.

Iniziavo a vederlo con altri occhi, non più quelli ciechi dell’amore e della DIPENDENZA. Ma, nonostante tutto, non ero ancora pronta a lasciarlo. Andavo via di casa e poi tornavo, perché, ogni volta, mi giurava piangendo che sarebbe cambiato, che si comportava così perché era sotto stress, per via del lavoro che non trovava e della crisi economica in cui ci trovavamo. E io gli credevo. Così gli diedi ancora un’ultima possibilità. Ma lui peggiorò, continuando a bere e minacciandomi sempre più pesantemente. Diceva che mi avrebbe ammazzata se lo avessi di nuovo lasciato.

Un giorno arrivò a mettermi le mani al collo. Un altro provò a soffocarmi premendomi un cuscino sulla faccia. Aveva gli occhi neri dalla rabbia. Io inizialmente ero pietrificata, poipresi la piccola in braccio, che nel frattempo si era svegliata. Lui mi guardò e tirò un pugno fortissimo sulla porta. Restai in silenzio, ero terrorizzata ma cercai di mantenere la calma e appena si spostò, d’istinto chiusi la porta a chiave e uscii. Lui, sentendosi in trappola, urlava e sbatteva dappertutto ma non cedetti alle sue suppliche e non tornai indietro e finalmente lo lasciai in maniera definitiva.

Dopo qualche giorno se ne andò di casa, facendo l’offeso, incredulo della mia presa di posizione ma con la strafottenza giusta di dirmi che tanto l’avrei richiamato perché non sarei riuscita a vivere senza di lui. E che non sarebbe mai tornato se lo avessi cercato.

Ovviamente non fu così e, già dopo una settimana, iniziò il tormento a distanza: chiamate, messaggi, insulti… alternati costantemente ai soliti pianti e alle suppliche.

Un tormento infinito che dura ancora oggi e al quale non è facile resistere. Ma credo comunque di essermi salvata da una morte certa. E quando sono a casa, ora, riesco a godere della mia tranquillità.

Non sono morta senza di lui. E, anche se soffro ancora, sono riuscita a riprendermi la mia DIGNITÀ. Ci vorrà tempo per lenire le ferite e per uscire dal mio stato confusionale. Mi aveva fatto un vero lavaggio del cervello e la mia giovane età non ha giocato a favore.

Mi sfianca e non desiste, e ho inevitabilmente i miei alti e bassi, ma sono finalmente CAMBIATA e mi sento più FORTE. Credo di esserne fuori e sono pronta ad andare avanti, senza di lui.

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