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  • Nadia Nunzi

Andare avanti


Avevo sedici anni quando ci siamo incrociati su “Netlog”.

Non ero solita dare particolare attenzione a persone conosciute tramite social network ma, in quel caso, dopo un periodo di conversazioni in chat, decisi di incontrarlo.

Non avevo amici e i miei genitori da sempre mi avevano fatto sentire inferiore, soprattutto in confronto a mia sorella. Lei sarebbe diventata geometra, io invece restata una casalinga senza futuro, quindi per loro un’incapace, una “fallita”.

Forse la mia insicurezza nasce da lì e per questo mi innamorai quasi subito di lui che mi faceva sentire bene.

I problemi non arrivarono subito ma dopo un primo episodio dove mi accusava ingiustamente di vergognarmi di lui perché in occasione di un Capodanno non accettai di andare in un locale. Non volevo andare soltanto per evitare di spendere soldi ma lui iniziò a dire che mi vergognavo di farci vedere in pubblico insieme.

Da lì in poi le cose iniziarono a degenerare.

Si divertiva a interrogarmi su questioni politiche o a farmi test matematici, sapendo che non li sopportavo, soltanto per mettermi in difficoltà e umiliarmi.

«Se si diploma una ignorante come te vado dai tuoi insegnanti a dirgli che sono dei falliti» mi diceva.

Creava litigi ad arte, spesso per questioni irrisorie, e puntualmente mi lasciava. Poi tornava. Oppure ero io ricercarlo con un pretesto e lui usava questa mia vulnerabilità a suo favore.

Mesi di tira e molla, dove spariva e poi, con una scusa, si rifaceva vivo.

Sapeva di avere potere su di me e ogni volta alzava il tiro.

Mi inviava messaggi provocatori, mi chiedeva foto e altre richieste sempre più perverse.

Io soffrivo ma non riuscivo a staccarmi.

Ogni volta che lo vedevo mi scioglievo davanti a lui. Non avevo assolutamente il controllo della situazione anche quando ero convinta del contrario.

Mi ha spinto a fare cose che non avrei mai pensato di fare. Non riuscivo a impormi e lui continuava a dominarmi sfruttando il sentimento forte che provavo e mi teneva legata con quello che diceva di provare anche lui per me.

Il nostro rapporto ricalcava in un certo senso quello dei miei genitori, dove mia madre faceva tutto ciò che voleva mio padre. Quando lo assecondavo a volte era perché mi sembrava giusto così.

La mia prima volta è stata con lui ma non ero pronta. Mi disse che se non me la sentivo potevo fermarmi ma in quel momento paralizzai mentalmente e non riuscii a dirgli subito di no. Quando a un certo punto lo bloccai mi rispose: «Ormai è fatta, adesso sopporta.»

Allora non ci feci caso e lasciai che proseguisse, ora so che avrei dovuto fermarlo. Le sue parole erano un segnale forte di mancanza di rispetto nei miei confronti invece ho continuato a subire. Per sette mesi ho sopportato le sue violenze psicologiche e fisiche. I rapporti divennero dei veri abusi. Le sue richieste sempre più perverse e, anche se le accettavo, per lui non era mai abbastanza.

Iniziai a sentirmi sporca, confusa e destabilizzata.

Mi sentivo senza ossigeno.

Arrivai a pesare trentotto chili ed ebbi anche un aborto spontaneo. A scuola passavo il tempo a piangere ma né i compagni né i professori mi chiedevano mai niente.

Lui mi tradiva e spavaldo e crudele mi diceva che riuscivo ad alzare il suo ego.

Si sentiva onnipotente e mi considerava una nullità.

Ogni volta che mi imponevo di dire «basta», però, tornava con un mazzo di rose o un bel discorso e ci ricascavo. E la storia degli abusi ricominciava.

Quando sono riuscita a staccarmi ho avvisato tutte le ragazze che frequentava per metterle al corrente dei suoi comportamenti ma non l’ho denunciato.

Ho cercato di andare avanti con la mia vita anche se non è stato facile. Ho provato a frequentare altre persone ma non ho mai vissuto rapporti sani. Ogni volta, soprattutto in intimità, avevo attacchi di panico e stavo malissimo. Mi sentivo trattata sempre come un oggetto e non percepivo il calore da parte di nessuno.

Dopo tanti soprusi mi sentivo come morta, priva di alcuna emozione e ho temuto di essere diventata come il mio maltrattante. Mi sentivo danneggiata per sempre.

Ci sono voluti cinque anni prima che incontrassi l’uomo gentile che è attualmente il mio compagno e anche il mio migliore amico. Con lui non ho avuto bisogno di raccontare i particolari, riusciva a capirmi attraverso il mio malessere e non ha mai avuto la pretesa di cambiarmi. Mi ha rivolto un rispetto e una gentilezza come nessun altro prima.

Nonostante le sue attenzioni, però, non è stato facile. Il mio ex mi aveva convinta di essere sbagliata, che non sarei mai stata la persona giusta per nessuno e che non sarei mai stata bene senza di lui. Ho dovuto scardinare da me tutte le idee assurde che mi aveva inculcato.

All’inizio allontanavo il mio compagno, temevo che si sarebbe stufato come molti altri, soprattutto per i miei continui attacchi di panico che mi facevano svenire per l’iperventilazione. Ma lui è sempre stato comprensivo e paziente. Quando lo scansavo e rifiutavo i suoi abbracci mentre tremavo mi stringeva di più e mi rassicurava.

Mi è sempre stato vicino nel modo giusto e, pian piano, con premura e dolcezza è riuscito a calmarmi e anche gli attacchi di panico oggi sono diminuiti.

Conviviamo da ormai tre anni e abbiamo un bimbo di due.

Oggi posso dire di essere più tranquilla e di vivere meglio anche l’intimità. Non mi sento più male come un tempo quando pregavo di morire.

La bellezza del mio presente è nella serenità che provo e so che andrà sempre meglio.

Ho deciso di condividere questa storia, seppur in forma anonima, per dire che da certe ferite non si guarisce mai ma con esse ci si può convivere senza che ci annientino. Si può andare avanti se si smette di pensare a chi ci ha abusate. Tenere nella propria mente queste persone tossiche, del resto, significa darla vinta a loro. E io non voglio proprio farlo.

Il mio pensiero odierno è rivolto a chi mi ama davvero ed è con lui che desidero coronare il sogno di sposarmi. È da quando è nato nostro figlio che lo voglio e conto presto di poterlo realizzare. Anonima

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