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  • Nadia Nunzi

Confidenze - Donna Protetta


«Ci sono viaggi che non vorresti mai fare perché è come se ti sradicassero dalle tue origini.

Il mio inizia nel 1992 quando sono costretta a trasferirmi nelle Marche insieme ai miei genitori. Sono ancora una bambina ma l’idea di lasciare Saronno, la terra dove sono nata e cresciuta, mi attanaglia il cuore.

Ripartire in questo nuovo luogo non è facile, devo ambientarmi, stringere nuove amicizie e lasciar andare tutto ciò che è stato dei miei dieci anni di vita precedente.

Sento la necessità di fare qualcosa, di agganciarmi a un’attività fisica in grado di prendersi cura di me anima e corpo e di alleggerire almeno un po’ il mio dispiacere.

Purtroppo anche per questo non ho scelta e, ciò che avevo visto esercitare fino ad allora da mio padre, luogotenente dell’Arma dei Carabinieri, diventa per me l’unica opzione dettata da lui, possibile: il karate.

Non avevo mai pensato di praticarlo ma essendo senza alternative inizio e, tra una gara e l’altra, proseguo fino al raggiungimento della maggiore età.

Solo allora decido di prendermi una pausa e mi avvicino ad altri sport, con il desiderio di provare esperienze differenti. Tutto ciò però ha vita breve.

Il karate mi manca. È ormai diventato una parte importante della mia vita e, nonostante mi sia stato imposto, il mio cuore torna a pulsare per lui come per un primo amore e nel 2009 decido di dedicarmici con passione e in maniera definitiva, scoprendone ogni sfaccettatura.

Oltre a praticarlo a livello amatoriale, acquisisco le abilitazioni per l’insegnamento e inizio a formarmi con corsi sempre più specifici, tra cui quelli inerenti l’autodifesa.

È qui che mi affaccio per la prima volta al mondo della violenza e la mia voglia di perfezionarmi e accreditarmi professionalmente diventa un’energia inesauribile che ha un costante bisogno di alimentarsi.

Continuo a fare lezioni prova, a curiosare in varie sedi, a tornare allieva tante volte, ma sento sempre che manchi qualcosa. Ho un sentore dentro che, seppur ancora privo di forma, continua a richiamare la mia attenzione.

Gli addestramenti sono tutti incentrati sulle stesse cose, prevalentemente legate alla forza fisica: dita negli occhi, pugni, calci e, alla meno peggio, spray al peperoncino di ogni tipologia. E non li trovo particolarmente idonei al genere femminile, meno che mai alle ragazze con una costituzione corporea minuta.

Credo si tratti di questo. Ci vuole qualcosa di mirato e adatto a tutte.

Ne parlo con un collega e scopro un corso specifico per donne che segue un metodo americano che lui ha appreso in un’accademia fuori regione.

È assistendo alla sua lezione prova che scatta in me una percezione nuova e inaspettata: il karate non basta a difendermi e non sono in sicurezza più di qualsiasi altra ragazza, donna, amica.

Inizio a fare ricerche riguardo questa nota accademia che tratta tale metodo e ben presto invio la mia candidatura corredata da curriculum professionale.

Voglio farlo innanzitutto per me, ne sento la necessita e, appena accolgono la mia richiesta, non esito un attimo a partire e mi imbatto in una nuova esperienza altamente formativa che, anche se ancora non lo so, mi cambierà la vita e farà nascere un progetto incredibile.

Dopo la parte teorica, la lezione pratica ha un forte impatto emotivo su di me.

Le simulazioni sono agghiaccianti, si riproducono aggressioni di ogni tipo, dallo scippo allo stupro e, quando è il mio turno, mi ritrovo a terra, inerme, completamente nel panico e tremante come non mi era mai capitato.

Per la prima volta provo il senso di impotenza di tante vittime e non riesco a reagire, inizio a piangere sconfitta e interrompono la simulazione.

Il giorno dopo sono ancora sconvolta e in procinto di tornarmene a casa e di rinunciare a questo percorso, ma non lo faccio. Mi armo di coraggio e proseguo, affronto le mie paure e il senso di sgomento e combatto, fino all’assegnazione del diploma.

Durante il viaggio di ritorno, un turbine di emozioni mi invade: sono cambiata e non posso più retrocedere verso i pensieri di un tempo. Devo fare qualcosa per le donne, da donna. È un’idea costante che ormai non si può più staccare da me.

La violenza non è un male lontano che accade solo in certe realtà. Può toccare chiunque e un corso di difesa basato sulla forza fisica non è ciò di cui le donne hanno bisogno. Ora lo so con certezza. E so che è quel qualcosa che risiede in me da tempo.

Il metodo Donna Protetta nasce da quest’idea: dalla voglia di far prendere coscienza alle donne riguardo le loro potenzialità e l’importanza del proprio intuito.

È un metodo di sicurezza personale che pone le basi sulla consapevolezza, la vera chiave della difesa.

È dalla consapevolezza di sé, dei propri strumenti e dalla conoscenza delle dinamiche della violenza, che spesso è un lavoro infido e psicologico, che nasce la propria protezione.

Ho impiegato due anni per stilare e perfezionare il progetto di questo metodo e renderlo efficiente, affiancata dalla professionalità e dalla sensibilità di un collega speciale, nonché amico da più di dieci anni, Lorenzo Castricini, che ha accolto con entusiasmo la mia sfida, e che, di recente, per raggiungere anche le persone più distanti, ha inoltre scritto e pubblicato un libro omonimo che racchiude il frutto del nostro lavoro: le dinamiche della manipolazione psicologica e i principali indicatori della violenza, arricchito da preziosi consigli per la propria sicurezza.

Insieme siamo partiti da una piccola realtà, restando sgomenti dinanzi ai numerosi e inaspettati casi di maltrattamento del nostro territorio, e insieme ci stiamo estendendo sempre di più, anche grazie ai risultati ottenuti lavorando in sinergia con uno sportello antiviolenza locale e ai riscontri positivi di tante giovani donne.

«Donna Protetta mi ha fatto scoprire di avere un livello di attenzione abbastanza basso», dice una di loro, Maria Teresa, che oggi si sente molto più accorta di un tempo. Rebecca ha appreso di come la paura, che ha sempre ritenuto un limite, possa essere al contrario una grande alleata. Di come possa usarla a suo favore per proteggersi e captare meglio i segnali di eventuali pericoli.

Per Silvia, invece, che ha subito episodi di violenza domestica, è stato più complicato rivivere certe scene attraverso le simulazioni ma non si è tirata indietro e ha scoperto un nuovo modo di elaborare il dolore e di liberarsene in maniera funzionale.

Queste sono solo alcune delle tante testimoni che grazie a Donna Protetta sono riuscite ad andare in profondità dentro di sé, scoprendo qualcosa di intimo che prima non conoscevano. Molte altre hanno preso coscienza riguardo alle molteplici sopraffazioni che subivano nel quotidiano senza reputarle tali e hanno cambiato atteggiamento, esigendo rispetto, o ancor meglio riuscendo ad allontanare un maltrattante.

Oggi, ciascuna di loro, cammina finalmente a testa alta, ha affinato il proprio intuito, si sente più sicura, più forte e meno manipolabile.

Si sono inoltre create delle bellissime amicizie e si è formato un ampio gruppo le cui braccia si protendono all’infinito, dove il confronto e la forza di ogni singola persona, altro non è, che un contagio positivo e illuminante per ogni cammino individuale.

Due di quella braccia sono le mie e sono aperte ad accogliere sempre più donne, non solo per dare conforto quando ce n’è bisogno, bensì per aprire sempre più occhi,

perché, come dice Katia, una delle nostre guerriere, la donna è nata libera e libera deve rimanere. Ed è proprio partendo dalla consapevolezza che si può preservare la propria libertà.»

Storia vera di Antonella Pizzolla, raccolta per la rivista Confidenze n°31, luglio 2018.

Donna Protetta

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