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  • Nadia Nunzi

Lulia


Cuore ricucito.

Ferma davanti all'armadio non so davvero quali vestiti scegliere.

È ormai da un bel po' di tempo che non esco con qualcuno e da troppo che non compro qualcosa di carino per me. Per andare fuori, da qualche parte. Per divertirmi e liberare la mente dai doveri e dagli affanni quotidiani.

Tiro fuori i pochi indumenti che ho e li osservo. Sembrano tutti uguali. Jeans e magliette essenziali quasi tutte a tinta unita. Due o tre gonne scure lunghe fino al ginocchio. Qualche foulard a fiori. Un unico paio di scarpe con i tacchi, o perlomeno con un fondo un po' più alto di quelle che di solito uso per lavorare.

Penso giusto qualche minuto a cosa indossare poi basta, prendo una combinazione qualsiasi tra le poche a disposizione, mi sciolgo i capelli lavati di corsa stamattina e senza un filo di trucco, mi dirigo verso la porta per recarmi all'appuntamento.

Del resto Gaetano mi ha invitata a cena dopo avermi vista in pessime condizioni, appena uscita dalla scuola superiore dove, ogni mattina, con scopa, straccio e secchio, vado a fare le pulizie.

Una maglietta bianca, i pantaloni di stoffa sintetica e le ballerine. I capelli raccolti alla meglio con un elastico e la pelle libera e segnata dalle sofferenze.

Questo ha visto di me ogni giorno, fino a quando mi ha indirizzato inaspettatamente l'invito.

“Ciao Giulia, come va? Ti va una pizza insieme stasera?”

Me l'ha chiesto così, senza mezze misure, andando oltre il solito Ciao o Buongiorno quotidiano di quando ci incrociamo, io che esco per la fine del turno e lui che entra per l'inizio delle sue lezioni di recupero pomeridiane.

“Una pizza? E perché?” chiedo un po' scettica.

“Per parlare un po'... Che male c'è? Ma se non ti va non fa niente, ci mancherebbe. Anzi, scusa se sono stato inopportuno”.

Inopportuno. Non conosco questa parola. L'ho congedato rapidamente e appena rientrata a casa sono andata a controllare sul dizionario, traducendola dall'italiano all'albanese per comprenderla.

Inopportuno, uguale a seccante, molesto, fastidioso.

Se penso a Gaetano così gentile, educato, a modo, tutto mi viene in mente tranne che una parola brutta come questa. Mi sento una stupida e mentre leggo il responso so di aver già preso una decisione.

Sarebbe ingiusto non provarci, seppur per un'ennesima volta, seppur dopo l'ennesima delusione.

“20.30 al 'Paradise'. Io ci sarò. Tu sentiti pure libera di fare ciò che vuoi ma sappi che se mi darai 'buca' poi dovrai pensarmi a mangiare in un posto decisamente carino, tutto solo. Ciao, ciao”.

Mi ha pure fatto l'occhiolino e con il sorriso sornione e la cartella con i libri in mano, è salito su per le scale ed è andato ad insegnare.

Sono demoralizzata e senza aspettative ma sento anche di dovermi dare almeno un'ultima possibilità.

Quarant'anni appena compiuti e una vita davanti mi dicono gli amici e aggiungono:

“Dai, Giulia, tirati su! Sei una donna speciale ma non credi più in te stessa, né tantomeno negli altri, questo è il tuo problema. Devi cambiare atteggiamento e vedrai che, prima o poi, la ruota della fortuna girerà anche per te”.

Troppi incontri falliti alle spalle e un passato triste ancora più deleterio per credere ancora a qualcosa di buono eppure vado.

“Stavolta è l'ultima, però” mi ripeto mentre chiudo la porta ed esco cercando di fare piano e di non creare scompiglio.

Quando arrivo al 'Paradise' Gaetano è già seduto al tavolo e sta bevendo, a piccoli sorsi, del vino rosso da un calice.

Sono le 20.45. Lo leggo nell'orologio appeso alla parete mentre lui lo scorge dal suo, sul polso destro velato di peluria castana.

“Ciao... Scusa il ritardo”.

Il viso si illumina alla mia vista e il suo fascino diventa evidente.

“Non pensavo venissi, sai? Stavo per ordinare ma ho fatto bene ad aspettare un po'”.

“In effetti non sarei dovuta venire, nemmeno mi conosci, non sai niente di me...”

“Appunto, siamo qui anche per questo, no?”

Si alza per spostarmi la sedia e farmi sedere. Sembra una scena di altri tempi.

Ringrazio facendo finta di non esserne colpita, poi afferro il mio bicchiere dove ha prontamente versato del vino e faccio un lungo sorso cercando di non apparire troppo agitata e di godermi comunque la serata.

Non ho aspettative. Non voglio averne, soprattutto perché lui mi piace.

Tengo il viso accigliato e probabilmente se ne accorge.

Mi accarezza una mano e mi dice:

“Allora, iniziamo dal tuo nome. Mi sono spesso chiesto come mai ti chiami Giulia se non sei italiana”.

Sorrido. “Il mio vero nome è Lulia, che dovrebbe significare ‘fiore’ ma qua ormai sono Giulia per tutti. Mi sono integrata così bene che potrei definirmi italiana”.

Sorride anche lui e alza in alto i calici.

“Brindiamo allora. A te. A questa bella serata!”

Finalmente mi lascio un po' andare ma un pensiero fisso continua a tormentarmi la mente. Quello della verità. So che quando gli racconterò di me, l'euforia e la leggerezza della serata improvvisamente svaniranno e a seguire anche lui, come un principe mai esistito. Ma so che devo dirgli di me, della mia vita, delle due creature che ho lasciato a casa con i nonni e che hanno costantemente bisogno di me. Sua madre. Il loro unico punto di riferimento.

Di Aimir, un bambino di appena dieci anni con già tanta rabbia in corpo e una continua aggressività, verso i compagni a scuola, verso di me, verso gli oggetti che ogni tanto scaglia via o rompe contro il muro.

Di Nora, sua sorella di dodici anni, con gravi disturbi di personalità.

Devo avere il coraggio di narrare di loro, i miei due angeli maltrattati e cresciuti senza un padre, dopo aver visto le botte e i lividi sulla mia pelle, prima delle denunce del divorzio.

Dovrei mettere sul tavolo il mio passato prima ancora che arrivino le pizze e che faccia finta che i problemi non esistano e che io sia davvero una donna italiana senza uno scomodo passato.

Devo parlare adesso ma non ci riesco.

“Allora, ordiniamo? Sono affamato. Io prendo un classico, la margherita con mozzarella di bufala. Tu?”

“Una capricciosa o una quattro stagioni. Infondo non sono la stessa cosa?”

“Più o meno! Sono come la vita, puoi affrontarla dividendola in schemi e assaporandola pezzo dopo pezzo oppure mischiare tutto e gustarla in maniera più istintiva”.

“Non credo di aver ben capito, sai?”

“Ah, ah, ah! Non preoccuparti, era una scemenza, non farci caso”.

In realtà ho compreso il senso ma continuo a provare ansia e a non sapere cosa fare.

“Ascolta, io vorrei dirti di me, della mia vita... prima che iniziamo a mangiare”.

“Certo, puoi dirmi tutto quello che vuoi ma cerca di rilassarti, sembri davvero tesa”.

Sorrido appena poi inizio a farlo, a parlare di me, del posto da dove vengo, dell'infanzia... ma non arrivo al dunque. Per la prima volta non ci riesco.

All'improvviso viro e decido di lasciarlo appeso lì, come una codarda che ha voglia di mentire solo per accaparrarsi un po' di attenzioni o per sognare un nuovo amore.

Fantastico, guardando le labbra di Gaetano che si muovono e che vorrei avere sulle mie.

Gli guardo le mani, curate e gentili come i suoi occhi scuri. Le vorrei intersecate alle mie dalla pelle secca, rovinate dai detergenti, mentre passeggiamo facendo una delle cose più semplici del mondo eppure una di quelle che mi sembra davvero di non aver mai fatto.

Gli arrivo a guardare pure i capelli folti, leggermente brizzolati e a immaginare di poterli accarezzare.

Mi rendo conto di quanto mi manchi un uomo nella mia vita, uno del quale potermi prendere cura, stirandogli le camicie e preparandogli da mangiare.

Uno dall'animo buono come non mi è stato mai concesso di conoscere né di avere accanto. Che accarezzi il mio corpo sciupato dalla mancanza di rispetto e lo rigeneri.

Uno in grado di prendersi a carico una famiglia già formata eppure decisamente incompleta. Di giocare con due bambini maturati troppo in fretta e con troppo dolore, per vederli crescere e cambiare. Diventare un uomo e una donna forti e sani come dovrebbe essere. Due persone dall'animo buono e dai valori limpidi.

Penso a loro e gli occhi mi si fanno lucidi. Penso alle rispettive foto che tengo nella borsa e che vorrei mostrare se trovassi stasera la forza per farlo, senza pensare a tutti gli uomini che dopo la verità, hanno salutato con un “A presto, è stata una bellissima serata. Sei una bravissima donna” e poi non sono più tornati.

“Scusami, vado un attimo in bagno, sai dov'è?”

“Dovrebbe essere quella porta laggiù, a destra”.

Mi alzo in fretta e cerco di non far notare il mio stato animo, tenendo lo sguardo abbassato.

Entro in bagno e mi rinfresco il viso. Mi sento triste e senza energia ma voglio nascondere tutto.

Quando torno al tavolo le pizze sono già arrivate. Mangiamo rapidi e quasi in silenzio, entrambi affamati di qualcosa.

Beviamo altro vino e ordiniamo anche il dolce e il caffè, poi ce ne andiamo all'aria aperta.

Il 'Paradise' è davvero un bel posto e vanta una posizione magnifica che dà proprio sul mare.

“Torni subito a casa o facciamo due passi?”

Vorrei restare. Vorrei scappare e non sognare più. Vorrei proteggermi dalla delusione.

“Per me possiamo restare ancora un po', non è tardi anche se...”

Gaetano mi guarda un po' perplesso.

“Anche se? Che succede? Qualcosa non va?”

“No, è tutto a posto ma... insomma... non so come dirtelo ma devo e non importa se poi te ne andrai. Cioè mi importa ma tanto sono abituata. Abituata agli uomini che scappano e anche a soffrire. Insomma... ho due figli a casa che mi aspettano”.

Dico tutto d'un fiato, prima di ripensarci e poi abbasso la testa, trattengo il respiro e poi lo lascio andare ansimante e inizio a piangere lacrime antiche.

Gaetano resta immobile e in silenzio. E immobile lo sono anch'io. Poi lo sento avvicinarsi. Mi alza il viso con le solite mani gentili e mi bacia. Un bacio dolce, nuovo, sperato, che sembra sanare tutto. Poi si stacca lentamente e sussurra:

“È tutto ok, Giulia... anzi Lulia. Non avere paura, non sei più sola”.

Mi asciuga la pelle bagnata di pensieri e timori e mi abbraccia.

Mi sento al sicuro.

“È l'ultima volta...” mi ripeto. “Stavolta l'ultima per davvero”.

È la ruota della fortuna che gira per me. Finalmente anche per me!

Testimonianza raccolta per la rivista Confidenze n°47, Novembre 2015 @Nadia Nunzi

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