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  • Nadia Nunzi

Vedere con le dita


«Come fa una persona non vedente a vedere il mare?» è una delle domande che spesso le persone mi rivolgono quando parlo della mia passione per la subacquea. Alcune invece la reputano una scelta bizzarra, mi chiedono che ci vada a fare là sotto se non posso vedere nessun pesce, nessun colore, nessuna sfumatura dei fondali.

Immersione subacquea

«Vedo con le dita» rispondo, poi sorrido. In pochi si rendono conto che per me immergermi non è poi così diverso dallo svolgere altre attività usando il tatto come mezzo di esplorazione. Per alcuni è utopico e credo dipenda da certi limiti mentali. Quando il corpo è privato di un senso tutti gli altri si affinano, si sa, e sono in grado di trasmettere all’anima infinite emozioni. Ed è ciò che mi accade mentre respiro tramite l’erogatore scendendo in immersione.

Ho sempre amato il mare, un po’ come tutte le persone che nascono e crescono in una località dove già dal mattino ne puoi respirare l’odore salino e ascoltare la melodia inarrestabile delle onde. La sua presenza ti entra dentro così intensamente che non puoi fare a meno di viverlo. Per questo avvicinarmi alla subacquea, dopo anni di nuoto, per me è stato molto naturale.

Parlavo con un amico della mia intenzione di iscrivermi ai corsi e, nel 2005, dopo aver incontrato Angela Costantino presidente dell’associazione Albatros - Progetto Paolo Pinto, di Bari, non ho avuto nessuna esitazione nel cominciare. Angela ha creato la sua associazione in onore di suo marito, campione di nuoto di gran fondo, deceduto a seguito di una malattia che nell’aggravarsi lo ha portato alla cecità. La sua sensibilità unita allo scopo nobile del suo progetto mi ha commosso. Mi ha permesso di far parte di una comunità preziosa, in un ambiente caloroso di condivisione e aggregazione lodevole, che mi ha dato tantissimo. Ho trovato inoltre molto bello, e affine al mio modo di essere, lo slogan che caratterizza l’associazione: «Il subacqueo non vedente non è un disabile, ma semplicemente un subacqueo», perché è esattamente così che mi sento quando mi immergo. Uguale a qualunque altro sub, unita da una passione e un entusiasmo comuni.

Quando osservo i fondali, lo faccio con gli stessi sguardi tattili con cui percepisco tutte le altre cose che mi circondano, grazie anche a uno strumento straordinario e innovativo che il trainer Manrico Volpi ha ideato e messo a disposizione di tutti, per riconoscere le varie specie marine. Si tratta di un riconoscitore subacqueo, dove sono catalogate 114 tipologie di organismi viventi del mediterraneo con illustrazioni e descrizioni scritte anche con i caratteri in puntinature a rilievo dell’alfabeto Braille. Tramite questo riconoscitore riesco a farmi una mappatura mentale di ciò che mi circonda ed è davvero come se lo vedessi con gli occhi, aiutata anche dall’immaginazione legata ai ricordi di infanzia, in quanto non sono cieca dalla nascita. Ho perso la vista gradualmente a seguito di una grave uveite che mi ha colpito all’età di quattro anni. Ricordo ancora i colori e questo mi permette di riprodurli all’occorrenza con la fantasia e vivermi con maggiore intensità l’esperienza marina. La percezione data dal tatto è comunque molto intensa. Mi mette in contatto emozionale con la natura perché il suo uso non mi limita a guardare ma mi fa andare oltre l’aspetto esteriore.

Le mie immersioni sono sempre affiancate da una guida individuale e toccare mi permette di soffermarmi sui dettagli, di accarezzare delicatamente e con il giusto approccio, una spugna o un polpo, per esempio, e giocare con quest’ultimo mi da modo di percepire la sua stupefacente eleganza come altrimenti difficilmente riuscirei a fare. Anche sfiorare la rigogliosa Posidonia Oceanica mi piace molto, mi fa immaginare di essere in un’immensa prateria. Toccando le sue foglie posso capire subito quale pesce si muova nei dintorni e lo trovo affascinante. Ovviamente, alla base di queste esplorazioni c’è una buona conoscenza di biologia data dalla mia curiosità e dallo studio, grazie alla didattica subacquea specializzata di ASBI.

Il mare è una forza potente e, quando scendi in profondità, ti rendi conto di quanto, in confronto, tu sia piccolo e fragile. Per questo mi inabisso con grande umiltà e dovuta conoscenza. Con la giusta consapevolezza riesco ad affrontare le paure che la sua immensità alcune volte arriva a trasmettermi.

La preparazione è fondamentale per vivere l’esperienza, oltre che con entusiasmo, in sicurezza e ho trovato molto utile l’idea del trainer di Albatros, presentata nello stand all’EudiShow (il Salone Europeo delle Attività subacquee dove ogni anno partecipo) di riprodurre su una sorta di grande plastico le specie marine, sia pelagiche sia sessili, a dimensioni reali. Un modo funzionale, e di certo educativo, per condividere informazioni e guidare al meglio le persone non vedenti come me, riguardo i diversi organismi e i loro habitat naturali, prima di andare a incontrarli sott’acqua. Questo consente di evitare eventuali rischi e rafforzare il livello e il senso dell’autonomia. Una palestra didattica che invita inoltre i vedenti alla riflessione, riconducendoli al vero senso dell’immersione, che non riguarda la competizione ma il conoscere e l’esplorare, non soltanto l’universo liquido in cui si fluttua ma anche e soprattutto quello interiore che ci appartiene.

Il passaggio da una dimensione all’altra ti denuda, ti costringe ad affrontarti, ti dà modo di conoscerti a fondo ed è una delle cose che amo di più della subacquea. È una delle emozioni più intense. Quando mi immergo mi sento impalpabile e particolarmente viva. Tutto diventa ovattato e magico. Il caos e la frenesia del mondo in superficie scompaiono e inizio un viaggio emozionante che mi porta verso uno stato prezioso di leggerezza e di raccoglimento.

Notevolmente introspettiva ed emozionante è anche l’apnea. È l’attività che mi ha avvicinato di più a me stessa, alla mia vera essenza. In quelle occasioni sono senza bombole, senza guida e ogni sensazione è enfatizzata all’ennesima potenza, concentrata in quei pochi minuti di solitudine e polmoni riempiti di aria il più possibile. In questo caso è necessario un costante allenamento precedente, con specifici esercizi di ventilazione, ma posso dire che ogni sforzo valga davvero l’emozione che ne consegue, che resta con me per diversi giorni a seguire.

Sono scesa in apnea fino a sedici metri di profondità in completa autonomia ed è stato davvero appagante. Riuscire a farlo mi ha dato conferma che la forza di volontà di ciascuno di noi è un motore potente in grado di farci superare molti limiti e permetterci di scoprire la bellezza dove non penseremmo mai di trovarla, attraverso sentori alternativi elevatissimi.

Ho fatto immersioni anche subito dopo la nascita di mia figlia Giulia, che ora ha otto anni, e ricordo ancora la gioia nell’allattarla dopo esser riemersa, superando timori e giudizi. Trasmettere anche a lei la mia passione, credo sia un dono prezioso e sarò ben lieta se vorrà accoglierlo con entusiasmo fra qualche anno, perché scoprire il mondo sommerso che ci fluttua sotto, a metri di profondità, credo sia un buon modo di allargare le nostre vedute e al contempo ridimensionarci sulla nostra vulnerabilità e sul senso della nostra esistenza. L’insegnamento più valoroso che intendo lasciarle, sulla base della mia esperienza, è inoltre e soprattutto quello che riguarda la nostra energia interna che, se mantenuta carica, può davvero portarci ovunque noi vogliamo.

Storia vera di Elisabetta Franco, 47 anni. Bari.

Testimonianza raccolta per la rivista Confidenze n° 42 di Ottobre

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