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  • Nadia Nunzi

La 27esima ora


Nadia Nunzi, autrice marchigiana

(Foto Rossano Tozzi)

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Mi aveva tolto tutto, anche ciò che più mi appartiene: la scrittura. Ed è proprio insieme a lei che sono riuscita a ricominciare. Avevo toccato il fondo, ero viva per miracolo, e avevo un urgente bisogno di comprendere come mai fossi finita tra le abili mani di un manipolatore, succube, agganciata in un rapporto totalmente insano e massacrante. Inebriata da un’illusione. Pensavo alla ragazza inafferrabile e ribelle, amante della libertà, qual ero prima di incontrare quel giovane incantatore, e mi sembrava assurdo essere finita nella trappola della violenza, senza la prontezza e la lucidità di riconoscerla.

Lui si presentava, insinuandosi nelle crepe delle mie insicurezze, con una rosa rossa, il sorriso ammaliante e gli occhi furbi. E io ci cascavo. Ero stata scelta da un ragazzo avvenente, e apparentemente gentile, e improvvisamente mi sembrava di aver trovato tutto l’amore che mi mancava. È così che non ho captato i segnali, che non ho voluto vedere i comportamenti ambigui e che, successivamente, ho confuso l’aggressività prima che si manifestasse in tutta la sua irruenza.

La prima volta che ha iniziato a coprirmi stentavo a crederci. Ero diventata di sua proprietà: a che mi serviva mostrarmi agli altri? E il trucco? «Non ti permettere più di usare il rossetto rosso.» Così, in breve tempo, via i colori, via i sorrisi, via l’autonomia di scegliere anche le piccole cose di ogni giorno. Le pressioni psicologiche che mi infliggeva erano alienanti e crescevano un’intimidazione dopo l’altra, con pretese lontane dalla ragione. «Tu senza di me non esci e non parli con nessuno, hai capito?» Ero basita. In pochi mesi ero entrata in una spirale che sembrava senza via d’uscita: non c’era più spazio per me, per le mie passioni, per le mie amicizie. Nulla. Solo urla per il mio bene alternate a momenti di finta adulazione, in un’altalena sfiancante che, insieme alla paura, mi teneva magistralmente agganciata a lui.

Ci ho messo tre anni per riuscire a staccarmi, a parlare e a dire basta. Ed è stato in quel momento che ho rischiato la vita. «Perché tu non puoi decidere niente, tantomeno di lasciarmi.» E invece l’ho fatto e non sono mai tornata indietro, mai più verso le sue labbra tossiche e i suoi inganni. È stato allora che ho dato alla scrittura la facoltà di guarirmi. Non volevo ricascarci più e, con l’aria di nuovo sul viso, e i respiri disciolti dentro, me lo promettevo. Sapevo che per riuscirci e per ricostruirmi in maniera efficace l’unico modo sarebbe stato quello di osservarmi profondamente nell’intimo, senza mentire a me stessa, e affrontando ciò che di scomodo mi portavo appresso dall’adolescenza. E così ho fatto, con la consapevolezza che avrei sofferto molto ma in maniera necessaria e che poi non sarei stata più la stessa. Allo stesso tempo avevo bisogno di farlo da un punto di vista esterno, senza coinvolgimento, per una valutazione obiettiva dei fatti, così mi sono distaccata e ho osservato la protagonista come se non fossi io.

Con Ti amo anima mia (e successivamente con Stavolta scelgo me) ho scoperto il potere salvifico e magico della narrazione autobiografica. Questa è stata la mia terapia: ripercorrere le tappe della mia storia, trasponendole su carta, in maniera istintiva, cruda e liberatoria. Analizzandomi senza indugiare. Tramite la scrittura sono tornata indietro, verso quel fascino maledetto che avevo subito in maniera totalmente ingenua, senza riconoscerne la vera natura, senza riuscire a proteggermi. Verso ciò che non avevo voluto vedere. Verso le insicurezze che mi mettevano in pericolo, mostrandomi nuda e inerme davanti a lui. E sono arrivata, un’immagine dopo l’altra, fino a quel giorno in cui, chiusa in una stanza, i suoi schiaffi d’amore mi promettevano il peggio.

Ho rivissuto ogni attimo di me, dei colori che si spegnevano insieme ai miei sorrisi. Della serenità che scompariva dietro un corpo offeso. Ho osservato una donna cambiare fino a non riconoscersi più. E alla fine l’ho riscattata, le ho ridato una nuova vita, autentica e di qualità: fatta di occhi che brillano, di profondo amore per se stessa e di scelte libere che non spettano a nessun’altra all’infuori di lei. Di buona solitudine, di introspezione e sogni, di tutti quei momenti che per troppo tempo si è lasciata ingiustamente portare via. Perché il rispetto parte principalmente da noi, dall’importanza e dal valore che ci diamo e, seppur attraverso il dolore, sono fiera di averlo finalmente compreso. ©Na'

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